Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.
Un’esperienza cinematografica talmente intensa e viscerale che si mangia a colazione William Friedkin. Sam Neil è ben disorientato e Isabelle Adjani dà una delle interpretazioni più estreme e sconvolgenti del genere horror, tra isteria e convulsioni psichedeliche. Zulawski trasforma la disintegrazione coniugale in un incubo visionario, contaminato da body-horror, grottesco e dolore autentico. Un capolavoro che divora e che rimane addosso come un marchio.
Russell adatta un romanzo di Stoker e non rinuncia al surrealismo iconoclasta con blandi accenni sessuali. Come horror è a metà tra il folk criptozoologico e l'abusato tema del contagio pseudo-vampiresco ma è pacchiano e si piega troppo agli stilemi del coevo cinema horror statunitense. In ogni caso, la componente grottesca lo salva dal dimenticatoio. E poi la donna serpente ti striscia dentro coi suoi modi eleganti e, se sei fortunato, ti inietta il suo veleno proprio lì.
Peloso e sanguinario omaggio all'horror di serie B, con un gradito ritorno degli effetti speciali analogici al posto della CG e un minutaggio di soli 80 minuti che evita di disperdere l'atmosfera. Lo spiantato protagonista e l'altrettanto bizzarro paesino con sovrabbondanza di alcolici sono la premessa ideale per la trama sopra le righe, nella quale anche i momenti di umorismo becero risultano graditi. Dispiace solo per l'atto finale, guastato da un filtro cromatico troppo stridente anche per una produzione volutamente a ribasso.
Com'è possibile che in un'unica famiglia (Cronenberg) ci sia tutto questo talento? E proprio di una famiglia tratta il film, in cui non soltanto scarseggia il talento ma anche l'umanità. Ricchi sfondati, con rapporti disfunzionali, calati in un kammerspiel distopico. L'idea iniziale è davvero buona (il programma governativo di suicidio assistito per ridurre la popolazione) e gli attori sono in parte. Interessanti implicazioni politiche (immigrati si offrono per il futuro dei figli). Grottesco, violento, con un finale che però non permette la catarsi. Buono.
La storia di una comunità di donne che vive miseramente in un imprecisato paesaggio siciliano, barcamenandosi tra lavoretti e attività domestiche e prostituzione organizzata che permette loro di sopravvivere, prendendosi anche cura di un ragazzo problematico a causa di turbe insolubili. A cavallo tra documentarismo e teatralità, interessa per lo squarcio di umanità che ne viene fuori ma senza suscitare una vera compartecipazione, perdendosi sovente in incursioni da videoarte. Cast in parte non professionista, bravo Simone Zambelli (Arturo). Ost monotona e posticcia nel finale.
Forse uno dei migliori trattati sulla necrofilia e sulla agalmatofilia. Una marcescente, putrida, incancrenita poesia di macabro amour fou, tra frenetiche e ripetute masturbazioni, perenni nudi integrali maschili e femminili, insistite copule con "l'oscuro oggetto del morboso desiderio" che sconfinano nel putrido, locali BDSM di umiliazione maschile, amore di bambola che si mischia fetidamente con il mito del mostro di Firenze (l'aggressione nella tenda), i continui rimbrotti mortificanti della bambola di carne e una chiusa criptico/“fantascientifica" che sta tra Lynch e Cozzi.
Chris Wolff, il killer semi autistico cui dà mirabilmente volto e carattere Ben Affleck, era prevedibilmente destinato a proseguire le proprie avventure. Azzeccato come personaggio, mescola in modo intelligente strambe battute e complessi calcoli addivenendo a soluzioni di enigmi apparentemente irrisolvibili. Lo troviamo già nelle prime scene alle prese con gli algoritmi delle app per gli incontri, pronto a crearne una propria! Ma non è questo che il film vuole raccontare, purtroppo, perché ad aspettarci - come nel numero uno...Leggi tutto - è una nuova storia confusa e mal spiegata, che nasconde l'elementarità di fondo dietro a una coltre di inutili farragini, sequenze spezzate, mezze frasi da interpretare.
Si comincia subito con una prima vittima: l'ex direttore dell'agenzia del Dipartimento del Tesoro (nientemeno che J.K. Simmons, in partecipazione "straordinaria") viene ucciso dopo aver consegnato a una pericolosissima killer chiamata Anais (Pineda) la fotografia di una coppia con figlio, da ritrovarsi quanto prima. Marybeth Medina (Addai-Robinson), che ha preso il posto del suo ex superiore appena ammazzato, rinviene sul braccio del cadavere di quest'ultimo una frase che l'uomo si era inciso a chiare lettere: "Trova il contabile". Medina lo fa e viene in contatto con quel mezzo matto di Wolff il quale, analizzati tutti gli indizi e le fotografie lasciate dalla vittima, capisce chi possano essere le persone presenti nella misteriosa fotografia. Per trovarle, però, decide di ricorrere all'aiuto di suo fratello Braxton (Bernthal), che non vede da anni, killer a sua volta e decisamente fuori di testa.
Una coppia esplosiva, ben assortita e capace di infilare, le poche volte che ha lo spazio per ritagliarsi qualche simpatico siparietto, scenette spassose. Entrambi menano come fabbri, sparano, rispondono a modo loro e rappresentano chiaramente il punto di forza del film, quello che lo distingue dalla massa di produzioni di genere affine. C'è una distinzione apparentemente netta tra buoni e cattivi (anche se considerare buoni due assassini mezzi matti non è facile), si punta molto sull'azione e vi si aggiunge una componente di ricerca tecnologica alla NEMICO PUBBLICO attraverso la quale, dalle riprese di telecamere poste al di fuori del locale dove si verifica il primo omicidio, si risale al volto di chi aveva appena parlato con la vittima.
Si infila nella storia un po' di tutto insomma, mentre si continua a gettare fumo negli occhi con nomi da memorizzare e situazioni da ricostruire. Con due ore e dieci di durata si può immaginare quanto una costruzione simile possa diventare faticosa da seguire; e sotto il versante action poco funziona pure il film, con uno scontro finale prolungato quanto insignificante. Insomma, quel che c'è di buono sta tutto nel tratteggio dei due protagonisti, nelle loro interpretazioni e nel gusto di sconfinare talvolta nel grottesco. Concettualmente nulla di nuovo, è evidente, ma Affleck trova nel suo Wolff uno dei personaggi più curiosi e singolari di una carriera in cui poco ha avuto modo di affrancarsi da stereotipi che l'hanno quasi sempre confinato nel novero degli attori validi ma troppo di frequente anonimi. L'affiatamento con Jon Bernthal è ottimo i contrasti tra i due si concretizzano, nei frangenti migliori, in scambi veloci e spiazzanti, al punto da far scomparire velocemente tutto ciò che ruota loro intorno, comprese due partner femminili evanescenti.
Il sicario è una delle figure più utilizzate al cinema nonché la più sfruttata in ambito noir, anche nella sua variante grottesca: si presta da sempre all'innesto di buone dosi di black humour in sceneggiatura, quindi niente di strano se a interpretare il killer di turno viene chiamato Christoph Waltz, due Oscar all'attivo e una riconosciuta propensione all'ironia certificata dalle esperienze con Tarantino.
La storia è stravista? Certo, indubitabilmente. Il vecchio e il giovane. Danny Dolinski (Waltz) è un sicario in attività da...Leggi tutto trent'anni, vanta trascorsi impeccabili e un'infallibilità garantita. Soffre però di artrite alla mano e, dopo sei mesi di inattività e un'operazione, non può proprio dirsi ancora a posto. I suoi capi quindi gli affiancano, per la nuova missione, un nuovo promettente ragazzotto, Wihlborg (Hoffman), pronto ad essere addestrato. Dolinski dovrà seguire Danny e, se sarà il caso, spiegargli dove sbaglia. La classica coppia scoppiata in partenza: il vecchio si sente ancora in grande forma mentre il giovane vorrebbe solo essere “osservato”, come gli hanno comunicato, non certo instradato. Ma quando i due arrivano al campo da golf dove sta giocando la vittima designata, Dolinski pretende di fare tutto da solo. Si verificherà tutto ciò che chiunque ha un po' di dimestichezza col genere si aspetta.
Ennesimo film che fa mucchio e da rigettare in toto, quindi? No, perché comunque Waltz è uno spasso e Hoffman (figlio dell'ammiratissimo Philip Seymour) gli tiene testa con bravura. La coppia funziona, quindi, e per quanto le dinamiche tra i due siano scontate, vederli recitare con tanta leggerezza, senza scadere eccessivamente nel grottesco ma nello stesso tempo senza mai prendersi troppo sul serio (nel caso di Waltz, perlomeno), è piacevole. E se Lucy Liu fa da contorno senza brillare, prigioniera di un personaggio persino più stereotipato degli altri, poco male: resta in secondo piano, non è lei a fare il film.
Quanto alla vicenda, scelte prima Londra e poi Belfast come teatri dell'azione, si snoda senza intoppi, diretta da un regista che fa quel che deve limitandosi a dare il giusto ritmo all'azione, con veloci siparietti familiari (la madre di Dolinski) e un superiore cinico come da copione che qualche buona battuta (non comica) la piazza e insieme a figure più in ombra contribuisce a riempire lo sfondo necessario. La seconda parte si sposta dalla noir comedy all'azione perdendo per strada l'estrosità di Waltz (di cui resta qualche raro bagliore, che accende i dialoghi qua e là) e seguendo la via maestra del genere senza sorpresa alcuna fino all'epilogo, ma qualche paesaggio irlandese e scontri abbastanza ben coreografati ce la fanno accettare senza problemi.
Horror comedy per ragazzi a tema zombi prodotta da R. L. Stine (il creatore della collana di libri chiamata “Piccoli brividi”) e tratta da un suo romanzo. Ha la particolarità di annoverare nel cast due grandi comici del fu “Saturday Night Live” come Chevy Chase e Dan Aykroyd e, se per il primo la presenza si limita a una breve quanto anonima apparizione in apertura e chiusura, il secondo è una figura chiave, nel film, seconda per importanza solo ai due protagonisti.
Questi ultimi sono una coppia di giovani amici che si conoscono da tempo: Mike Broadstreet...Leggi tutto (Kazadi), poco contento della sua vita, è considerato dai compagni il classico sfigato, Amy Maxwell (Monroe), già meglio piazzata nella classifica di gradimento scolastico, è, come tutti in zona, appassionata di film horror. D'altra parte c'è da capirla: la città è stata ribattezzata Carverville in onore di Len Carver (Aykroyd), il miglior regista horror di sempre, specializzato in tema zombi. Non fa più film da trent'anni ma, almeno lì a Carverville, viene ancora considerato una leggenda, con orde di fans pronte a gioire per l'annuncio di quello che dovrà essere il nuovo film del loro beniamino dopo tanto tempo.
La proiezione è in programma per il giorno di Halloween nel cinema locale gestito da Richard Landro (Czerny), ma quando Carver si presenta lì con la pizza sottobraccio (su cui svetta l'occhio di Horus, antico simbolo di protezione), si sente male e crolla a terra. Salta tutto, ovviamente, ma Mike, che lavora al cinema come proiezionista, decide comunque – su insistenza di Amy (lui non li sopporta, gli horror) – di montare la pizza e di sedersi nella sala (vuota) con lei a vedere l'ultima fatica di Carver. Quando però la macchina si avvia, il proiettore libera nell'aria una strana sostanza che si diffonde in tutta la città trasformandone gli abitanti in... (ma guarda un po') zombi! I due adolescenti, si capirà poi perché, sono a quanto pare gli unici (insieme a Carver, ricoverato in ospedale) a non subire il contagio e dovranno attivarsi per riportare le cose a posto insieme al regista.
Una trama facile facile che cerca di costruire intorno a Carver un'aura di mistero (si fa per dire) e una storia legata a oscure maledizioni egizie rivelate nel finale da tale Mezmerian (Chase) attraverso uno specchio. Questi è poi lo stesso personaggio che si era visto nell'incipit, nel quale ci erano state mostrate parti di uno dei vecchi horror di Carver.
Girato con maggiori mezzi della norma ma con un make-up zombesco decisamente scarso, il film rinuncia fin da subito a tentare la carta dell'orrore per lanciarsi piuttosto nell'avventura, alla quale si cerca vanamente di associare qualche vaga spiritosaggine. Con un Chase totalmente sprecato (poteva sostituirlo chiunque, in quelle poche pose) e una coppia di ragazzi che non sono il massimo della simpatia, non resterebbe che Aykroyd, a poter dare un minimo di senso al tutto, ma il suo personaggio è debole quanto il resto e non presenta alcuna sfumatura divertente. Un film chiaramente indirizzato a un pubblico giovanissimo che abbia voglia di celebrare Halloween osservando un po' di zombi inoffensivi (sangue? Neanche a parlarne!) che caracollano spaesati o che si siedono in sala al cinema per fissare lo schermo bianco.
La scena migliore è forse quella dopo i primi titoli di coda, con Chase, Aykroyd e gli altri seduti in un ufficio a guardare il film mentre si alza a gran voce una proposta unanime: “Più zombi, ci vogliono più zombi”. Interverrà pure H.R.Stine in video, a benedire (inutilmente) l'operazione. La gag più simpatica è invece inserita ancora prima dei titoli di testa: una voce off su quadro nero tiene a precisare che quella che vedremo non è una storia basata su fatti realmente accaduti e che gli attori che interpretano gli zombi non sono stati in alcun modo mutati o chirurgicamente operati per essere trasformati in reali zombi. Il fatto che il meglio si veda prima e dopo i titoli fa capire l'andazzo...
Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA
L'ISPETTORE DERRICK
L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA